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DEI GIORNI E DEI CIELI D'IRLANDA
Diario di bordo di una Compagnia scolastica e non solo
Dublin, 4 – 9 Marzo 2012
di FRANCO BANCHI





4th March

... early in the morning


Partenza con puntualità da collegio svizzero. Buio intorno, tutto abbottonato, occhi compresi. La ciurma è in forma, ma  ha subito senza pudori i fendenti del Sabato notte. Dubbi apocalittici sul volo, in sintonia con i rumors di un annus horribilis che annuncia di tutto e di peggio. Ilarità prevalente, qualche agnostico, una soltanto vede cupo altre le nubi. Sorprendente il black-out di colui che ci conduce; all'improvviso ricama i suoi zig-zag, regalandoceli come buongiorno domenicale. Faccio finta di dire grazie a nome di tutti, ma confesso: per qualche minuto ho dormito con un occhio chiuso ed uno aperto. Splendido inizio dell'avventura!

Orio al Serio si materializza, grande parcheggio con le ali. Piattaforma sul tutto e sul nulla. Badante rumena sul nostro volo con un vero e proprio vagone di prelibatezza per il figlio adottato dall'Irlanda, inopinato nuovo Paese di immigrati; turnisti irlandesi, probabilmente del settore avanzato  (ma non troppo), che sono invece pendolari dell'emigrazione. Incroci bizzarri sopra i cieli di due Paesi più vicini di quanto si pensi.
Al pronti via, la badante attempata si fa il segno della croce ortodosso e sciorina preghiere mariane.
Ho immenso rispetto per questi gesti, penso alle mie icone appese a casa, nelle valli verdi della nostra contea.
Pianura, nubi, tante Alpi. Poi la Francia distesa "come un vecchio addormentato". Ultimo braccio di mare, increspature fittissime ed infinite. Ma quanto è distante il pianeta celtico?
Poi le coste dell'Irlanda, povere - come ci sussura la storia  - ed allo stesso tempo dignitose, sicure perchè protette dal loro demone socratico, antico, imprendibile, libero.
E mi torna in mente quello scrittore che ripete: "L'Irlanda con il suo gioco tra terra e nubi  è più vicina al cielo di tutti gli altri Paesi!".
Avvolgente periplo intorno, con ali rispettose, su dimore che dall'alto sembrano tutte uguali, ma con sagome che, se conosciute dal di dentro, narrerebbero storie tanto diverse da confondere anche Joyce. Terra, finalmente terra, applausi, qualche sospiro ed ancora segni ortodossi di croce. Terra, come sbucando dall'ultima nuvola, quella più birichina. Il cielo d'Irlanda ha tolto il velo alla sua terra eletta. Evviva, l'energia ci accende con un guizzo covato a lungo e con Lei siamo tutti giovani senza tempo. Ecco che l'antica e sempre giovane Irlanda si fa genio della nostra Compagnia!

...afternoon and night

Abbott Lodge... Sparta a Dublino ed è già un buon risultato. Sarà questa la nostra dimora per i giorni che contano. Making facilities di altri tempi, buone cose gozzaniane, forse non proprio  e non solo di pessimo gusto. Il caldo della camera 112 mi rimanda, insieme a Proust, al Kenilworth di Londra, lontanissimo tempo di lavoro sulla  tesi e fucina di giovani pensieri. Calore che sale come dalle viscere dell'Hotel. Protegge ed insieme indispettisce in quanto eccesso, marcando il fatto che una camera d'albergo è sempre un mondo a parte. Sospesa a metà tra prosa e poesia, rumori di sciacquone ed arpe lontane...
Ed in realtà la musica arriva, consumata in piedi, veloce come le pinte delle prime Guinness che si sgonfiano. Brani della tradizione folk, deep Dublin, e rivisitazioni pop e rock. Magėe dell'Irlanda musicale, madre ed insieme figlia. Gli U2 ringraziano i tamburi Celtici!
Siamo al pub The Celt, quasi un set cinematografico tarato per i ribelli irlandesi del primo Novecento: cimeli, tante immagini e foto, vessilli, palesi o criptici, che trasudano sofferenza e voglia di indipendenza,cercata, fallita ed infine centrata...
Oggetti poveri di vita quotidiana, foto sbiadite ravvivate da fierissimi volti, micro-nicchie museali che proiettano nell'iperuranio della storia gli eroi di un sol giorno o del mai.
Tanto basta per capire che Platone e Francis Bacon potrebbero non essere infallibili. E viene un dubbio iperbolico: quello della spelonca e l'altro della tribù sono davvero idoli illusori o sono il mondo che ci è dato vivere? Questo e non un altro. Il titolo di un celebre film aiuta la nostra tesi, ribadendola: "Questa terra è la mia terra!". Che altro di più ?

Nota da moviola...
Riavvolgendo la pellicola della giornata, ho saltato sul momento il fotogramma riferito a Merrion Square, con le sue belle e decadenti porte georgiane.
Le abbiamo visitate in una sonnolento pomeriggio domenicale, collocate in uno spazio sotto-vuoto, scene teatrali prive di attori.
Forse un modo privilegiato di incontrare questo luogo, il cui climax fu raggiunto nel XVIII secolo. E penso a  Miss Olivia Beattie, vedova di un ricco mercante di vini, e la sua bellissima dimora situata al n. 29; al poeta  W.B. Yeates che visse al n. 82 e, soprattutto, vedo la statua in tipico spirito dandy che lo scultore Osborne ha dedicato a Oscar Wilde, ritratto mentre guarda con la consueta smorfia snob la sua casa al n. 1 della piazza.
Nonostante il rischio sospensione del tempo, favorito psicologicamente dalla predominanza dei colori pastello nella pittura delle splendide porte, non percepiamo Merrion Square come uno spazio fossile. Piuttosto viene in mente la porta magica delle Cronache di Narnia, diaframma tra presente e passato, accesso bi-univoco e ponte oltre il tempo.
Ha ragione Giorgio La Pira, grande Sindaco di Firenze: "Le città non sono mai cumuli occasionali di pietre, hanno sempre un'anima".
E che Merrion Square, come Dublino tutta, abbia un'anima lo capiamo dalla vita che pulsa nel giardino centrale della piazza. Nel sotto-coperta di Merrion Square, quasi nascosti da sguardi turistico-forestieri, giocano, meglio sarebbe dire corrono con foga gaelica dietro un pallone, giovani generazioni a scalare: bambini, adolescenti, uomini quasi maturi. E' l'Irlanda che si passa il testimone. E lo fa senza clamori, preferibilmente protetta da occhi indiscreti. Ma noi ci siamo. Garantiamo un cuore puro ed un idem sentire. Capiranno, anzi hanno capito. A Narnia c'è un posto anche per noi.



5th March

...In the morning

Sarà vero, come dice qualcuno, che noi siamo quello che mangiamo? I materialisti tedeschi, padri incontrastati di questa teoria, esagerano, non c'è dubbio. Ma, a volte, proviamo almeno un magnetismo mimetico verso alcuni cibi o particoli artifici culinari. E' il caso topico dell'irish breakfast, che apre la giornata bucando tutte le pareti dell'albergo ed i cui odori e sapori strong ci fanno diventare tutti gladiatori. Come loro obbligati per immedesimazione a toccare e fiutare il suolo su cui "combattere". E la perfetta giornata da irlandesi tra irlandesi parte proprio da qui.
Sorpresi che il sole continui a benedirci e non piova nè  in modo perpendicolare nè, soprattutto, obliquo, arriviamo al Trinity College, carne viva nella cultura di Dublino. E' tutto un pullulare di potenziali giovani ingegni, che come api operose entrano ed escono dalle varie facoltà. Dinamici, effervescenti, aperti.
Ma, osservandoli bene, non hanno sempre il volto di chi può permettersi di guardare lontano. Sembrano vivere il bello ed il gratuito della cultura, qui ed ora.
Chissà che, nonostante un robusto bagaglio di conoscenze e competenze, non ci sia per molti di loro una partenza uguale e diversa rispetto ai loro avi. Solo fino a qualche anno fa, l'Irlanda assomigliava all'Italia del boom economico post-bellico, costruito su coraggio, ingegno, competitività, attrattività di capitali da tutto il mondo. Ora la corsa è in salita ed urge l'ennesima ribellione irlandese, stavolta contro un nemico ancor più minaccioso in quanto impersonale e, per certi aspetti, invisibile.
Ritornati nani sulle spalle dei giganti del passato, varchiamo i sacri muri del college, per goderci The Book of Kelly, cioè la luce della parola e dell'immagine che scaturisce dalle tenebre. Magėe sante di miriadi di penne monastiche innominate;sapienza disinteressata e lavoro mai pagato che ha prodotto il più grande plusvalore della storia.
Non dimenticherò facilmente, come accadde  già la prima volta che la vidi, quello stupendo vascello diretto  al cielo, con radici ben piantate sulla terra, che sono la biblioteca e la sala di lettura del Trinity. I libri disposti negli scaffali all'insù, senza limite apparente per gli occhi, sembrano grattacieli dello spirito. Quanto sono lontane le nostre città contemporanee, la cui verticalità è puramente materiale e segna un'illusione ottica dello spirito!
All'uscita ancora squarci di sole e di verde  nei fazzoletti via via aperti all'interno del college. In fondo non avvertiamo il cambio di scenario, di spazi e di tempo. Il gran libro del mondo dublinese è bello e luminoso come the Book of Kelly.
 
...afternoon

Un'inaspettata ulteriore villa georgiana ci attende e  ci contiene per bei momenti nel suo ventre. Come una balena benigna e prodiga, che ci sfama e coccola. Più che un museo, dunque, una casa. Gli scrittori irlandesi che ci vengono incontro ci aprono la porta di casa e ci introducono in spazi domestici. Ci sentiamo accompagnati in modo discreto da un punto-luce ad occhio di bue, che illumina un libro, un appunto quotidiano, una lettera privata, un modesto oggetto d'uso, un nonnulla. Brandelli di vita strappati all'oblio. Sembra che la letteratura cosė sminuzzata si tramuti in archeologia dell'anima. Tante cose rimangono in mente, come il telefono privato di S. Beckett, con i suoi due tasti, verde e rosso. Intermittenza voluta verso la vita non letteraria: il verde per chiamare gli amici, quelli veri, pochi e scelti,del mondo reale; il rosso per filtrare il gotha degli accessi provenienti da fuori. E Godot in quale categoria sarà stato inserito, tasto verde o rosso?
Grande è l'Irlanda delle lettere: un concentrato di personalità forti e contrastanti; di santi e vampiri; donne eteree e carnali;poesia pura distillata dalla natura e prosa plumbea tratta dalla torba umana. Ed ancora dramma, satira, commedia; gioco, intenso impegno civile, leggerezza del divertimento, appelli alla rivoluzione...
Uscendo, abbiamo capito che questa "casa degli scrittori" è la stessa Irlanda: finalmente cangiante ed inafferrabile quando serve una sintesi; opportunamente monolitica nel momento in cui si palesa il rischio della divisione letale. Identità e non omologazione, prendere o lasciare. Chi ama l'Irlanda deve accettarla cosė.

... night

Davanti all'Half penny bridge, una virgola bonsai di ghisa  sul Liffey, c'è ancora il merchant's arch. Di lato un ventre buoio che evoca barili, ferraglie sacchi e tanto sudore. Nessuna moneta può pagar più (se mai ha potuto farlo) la fatica di arcane  sagome sporche di fumo che, come i loro canti, non vogliono davvero  andarsene da lė. Strani incroci tra sofferta malinconia e voglia di vivere. Proprio qui,  fendendo il vicoletto, su, salendo ripide scale, si fa musica e si danza. Allora, cerchiamo di essere tutti dubliners!
Più che un concerto, la band che ci intrattiene (ahimè troppo poco...) si produce in una lezione-racconto sulla musica popolare, amabile, ilare, leggera ed a volte seria. Ovunque in sala c'è ritmo, vitalità, voglia di decollare. Tra i giovani presenti , quasi un atlante del mondo, i nostri sono i più veri. Hanno mollato gli ormeggi. Bravi, la qualità del momento è misurata soprattutto dall'intensità.
Cosė la lezione-concerto è anche e soprattutto loro. Dublino si ricorderà di questo momento e di loro quando ritorneranno come figliol prodighi!
Un'ultima pinta sulla via di casa. Alcuni la reclamano, un po' come la mamma che rimbocca(va) le loro coperte. Bambini e bambine un po' cresciuti e cresciute, ma sempre tali...


6th March

...In the morning


Scivoliamo via lungo la colonna vertebrale di Dublino, O'Connell Street. E poi, obliqui, quasi galleggiamo con il fiume fino alla Christ Church Cathedral, con il suo portamento goticheggiante, signora distinta, quasi fuori tempo, piantata nella pancia della città.
Il nostro è solo un lambire e sfiorare, tra il distratto ed il rispettoso, per dirigersi  poi verso la St. Patrick Cathedral, ossigenata dalla diversa verve cattolica e dal bel polmone verde che la precede ed accompagna. Che sia una caparra del cielo?
Ci basta per respirare di nuovo, giocherellare, azzardare un immeritato ozio. Ma ripartiamo subito per la prima vera meta della giornata: il castello di Dublino.
Ne ha viste e ne ha vissute di storie, sempre in bilico tra la "perfida albione" e la giovane promessa e libera Irlanda repubblicana.
Mi sento troppo partigiano per varcare quel portone in modo notaril-turistico. Da troppo tempo, fin dall'inizio, ho scelto da che parte stare. Tagliando le prime sale e quasi levitando sull'infinito tappeto che ci mette tra i piedi un'overdose di simboli irlandesi, abbiamo il sorriso sulla bocca di chi conosce la fine della storia prima di cominciare. Quel castello, nato per simboleggiare il potere anglico su Dublino, è ora la vedetta della nuova Irlanda. Ben fatto,anzi well done. Lunga vita a chi ha creduto contro l'impossibile, spes contra spem!
Sosta per pranzo al coffee shop della library presso il castello. Rimembranze coloniali nell'ospitalità (ovviamente a pagamento) dello chef, che sciorina sapori dell'oriente medio ed inoltrato. Proviamo profumi già noti ed altri a cui applicare un briciolo di maieutica. L'essenziale e sobria cucina irlandese, come un rugbista distratto, lascia un varco alle incursioni della gastronomia esotica. Ma, non dubitiamo, l'orgoglio patriottico, anche culinario, sarà duro a morire...

...in the afternoon

Trasferimento ad un altro dei cuori di Dublino, sistemato come un treno in partenza verso il passato:il Museo Nazionale. Siamo come in un'antica stazione del tempo. Ed il tempo è davvero uno dei simboli-guida del nostro viaggio. Meglio sarebbe parlare di "tempi", che si accavallano, confondono, giustappongono, elidono, corroborano a vicenda. Qui, al Museo Nazionale, si vive come in un grande calderone alchemico, da cui, nonostante la fusione, spuntano singoli e riconoscibilissimi frammenti di storia.
Sorprende il procedere, shoulder to shoulder, di elementi della tradizione autoctona e di altri provenienti da mari lontani. E stupisce la capacità precipua di questo popolo, fiero ed insieme duttile,di metabolizzare, esaltandoli i contributi esogeni. Il compendio di tutto questo è la storia della "seconda evangelizzazione" o di ritorno, che i monaci irlandesi hanno restituito al continente europeo. La Toscana ne è testimone privilegiata. Ce lo rammenta continuamente la toponomastica, con il ricorrere di nomi che evocano viaggi dalla lontana isola irlandese. E' il caso di San Donato, nome tanto familiare di molti dei nostri borghi
Ora capisco perchè esiste un feeling quasi viscerale con queste terre e questo popolo.
Cosė approfitto del tempo propizio per visitare quegli orticelli di storia che, a pelle, più mi interessano. Spigolo qua e là alla ricerca di perle e rarità. Senza ammetterlo esplicitamente spero che arrivi in dono qualche idea per un nuovo libro. Chissà. Intanto mettiamo un po' di buon fieno in cascina. Qualche esempio, a volte appuntato altre disegnato, per capire e far capire.
Tra le teche spunta "The mias Tigherarnian", un prezioso piatto modellato come un reliquario. San Tigherrarnian, a cui è dedicato il piatto, avrebbe incrociato la storia di S. Giovanni Battista. Passato ai raggi X, il sacro piatto  rivela frammenti di un antico vascello  e le reliquie del santo precursore di Cristo, la cui testa mozzata fu consegnata a Salomè proprio su un vassoio.
Molto bello anche il "carved wood terminal", il pomello di un antico bastone d'uso, ma con manifesta valenza protettiva. Delinea un volto indefinibile, ieratico, eire6proveniente direttamente dal pantheon celtico.



...in the night

Angolo del ricordo dedicato ai pub irlandesi, uno e tutti. Presenze fitte che ci accompagnano, dislocati come accampamenti militari contrapposti sull'intera  mappa della città. Uguali e misteriosamente diversi, a cominciare dagli ingressi, tanto variopinti e bizzarri quanto semi-chiusi come gli scrigni degli avari. Viverli dall'interno apre però un'altra dimensione. Insieme  all'impatto viscerale, scocca la scintilla fine dell'animo. Il pub per gli irlandesi è uno spazio per il corpo ed un luogo dello spirito, che cambia e si trasforma in simbiosi con le traiettorie interiori degli ospiti.
Noi  abbiamo avvicinato  “il pub” con leggerezza, in modo gaio e conviviale. Il boccale di birra, sua estrinsecazione, è stato per noi  compagno buono, a volte stravagante folletto, altre ancora genietto pensoso. Forse avrà  assistito anche allo scoccare di qualche freccia di Cupido. Pub cangiante insieme a noi, discreto, mai invasivo. Come le stesse sfaccettature della birra sfiorata dalle nostre labbra,con i suoi colori e pesi diversi; una vera e propria scala ascendente per cromatismo e gravità materiale. E noi siamo stati al gioco, componendo una tavolozza estemporanea che non dimenticheremo. Come il derby tra Smithwicks e Guinness, senza trascurare altri inserimenti pregevoli, vedi la stout beer. In una cosa abbiamo però mancato clamorosamente. Nessuno, neanche chi scrive, ha testato il figlio prediletto dei pub irlandesi, vera pupilla degli occhi. Pochissime guide lo raccomandano, ma i veri esperti lo portano nel cuore. Si tratta del boccale-fusion tra Guinness e Smiths, qui a Dublino chiamata (e vengono i brividi di piacere a declinarne il nome) black and tan.


7th March

Oggi finalmente sarà verde campagna irlandese. Un'apnea nel tempo e nelle miniere dell'anima celtica. Stacco netto, per contrasto, dall'accelerato brulichėo della capitale, antropizzato, vociante, sgargiante.
Un viaggio breve guidato da un driver irlandese dalla testa ai piedi, magicamente mimetico sia con noi che con la sua terra. Anche il karaoke che pesca dal profondissimo e sdrucito cappello a cilindro del suo pullman delle meraviglie avvicina l'intera compagnia ad anni e generi musicali che furono e sono ancora.
Tra un brano e l'altro, urlato al cielo sopra di noi (ancora miracolosamente azzurro) scorre la prima vera campagna irlandese e le abitazioni si fanno meno fitte, silenti, più curate come preziose miniature.
Cottages elfici, giardini offerti come autentici pezzi di cuore, insieme esibiti all'invidia all'osservatore e  subito protetti dalla vista del profano. E da ogni parte un arcano  gioco geometrico tra intricate siepi che spuntano dal sottosuolo, vele erbose e radenti nubi di passaggio. E su tutto ilsole,luminoso all'eccesso quanto intermittente, che continua a contendere, quasi sempre con successo, il cielo d'Irlanda a nubi che non hanno ancora lanciato il grido finale di battaglia.
Ma il vento nessuno può contrastarlo, con le sue folate grevi e, poco dopo, falsamente leggere. Colpi d'ascia e punte di spillo. Da dove verranno questi soffi superiori e sovrastanti che ci sollevano senza sosta? Dal lontano Oceano o dalle incognite cavità delle terre irlandesi?
Certo, questo vento, in pratica una prova perenne di equilibrio statico,insegna ed obbliga a stare ben piantati sulla terra. Aiuta da sempre la gente d'Irlanda a coltivare e custodire l'ancoraggio privilegiato al primo elemento cosmico:la terra.
Non a caso i tumuli regali di Bru Na Boinne, in piedi dall'epoca pre-cristiana, su tutti quello di Newgrange, sembrano bulbi che, da secoli e secoli, non ne vogliono sapere di spuntar fuori. Protetti dalla terra, che li attrae oltre il tempo con moto centripeto, e difesi dalle pietre di fiume che li chiudono lateralmente come un fortilizio, dimostrano che vita e morte non sono in realtà una separazione ma un ricongiungimento segreto che deve avvenire fuori dalla vista di occhi indiscreti e temporali.
Sarà per questo che unicamente il primo raggio di sole del solstizio d'inverno ha diritto di trafiggere fino al cuore il tumulo di Newgrange e squarciare il buio della stanza centrale. Per l'eternità questa missione  di risveglio dal letargo invernale sarà affidata all'ineffabile orologio del cosmo e non agli umori aggressivi dei sapienti e potenti di turno chiamati uomini.
A seguire visitiamo tutti ai luoghi della battaglia del fiume Boyne, dove williamiti e Jacobiti si scontrarono per la supremazia sulle isole britanniche, senza risparmiare mezzi, uomini, astuzie, sotterfugi, colpi di teatro.
Questo tipo di storia, che ha il sapore del sangue ed evoca istinti belluini, facendo primeggiare T. Hobbes con il suo motto “homo homini lupus”, non piace mai troppo ai giovani. Ma le nostre radici, italiane ed europee tutte (specialmente irlandesi) affondano profondamente nella melma dei campi di battaglia. Sangue accanto a sangue.
Certo la storia d'Irlanda non sarebbe stata la stessa se qui avessero vinto i Giacobiti e gli orangisti fossero stati sconfitti.
Non molto lontano da questi campi di battaglia (perdenti), nemesi della storia, si apre la terrazza naturale della collina di Tara. E' il luogo prediletto in cui gli irlandesi, spesso all'opposizione di qualcosa e qualcuno, si sono ritrovati nel corso dei secoli per rinsaldare i loro legami di sangue, religione, cultura e politica.
Tara è la casa-madre d'Irlanda. Lo sguardo, che,
a 360°, si perde in rincorsa affannosa verso tutti i punti cardinali, benedice dall'alto ogni porzione di suolo, la lega ad un comune destino e, nelle ore quotidiane della preghiera, ricorda che su queste terre S. Patrizio ha trasformato lo scettro dei re-sacerdote pre-cristiano in pastorale.
Qui si teneva la riunione periodica dei clan irlandesi e si riusciva a trovare una miracolosa unità anche in presenza di spaccature disperate.
Qui, infine, proprio sulla collina di Tara, Daniel O'Connell, nel 1843, tenne un'oceanica riunione popolare, in cui pronunciò un celebre discorso sull'emancipazione dei cattolici irlandesi.
La sensazione che ci prende da quassù è quella di essere su un vero e proprio avamposto. Il punto di massima tensione, come la  corda di un arco, in cui terra e cielo si sforzano di toccarsi.
L'area rarefatta del luogo, particolarmente rissosa, ci ricorda che, ogni tanto, è bene salire, andare su, più su ed inarcare la corda del cuore verso l'infinito.
Noi, intanto, su questo crinale tra terra e cielo, giochiamo e quasi danziamo, ma in modo non irriverente. Anche il nostro, capiranno i “grandi” d'Irlanda ,è un raduno irripetibile di corpi, cuori ed anime.

8th March


...In the morning


Una città si conosce anche e soprattutto andando per mercati e mercatini. E' quasi una pesca miracolosa tirar sù dai labirinti più nascosti di Dublino cose, oggetti, vere e proprie chicche che avevamo da tempo annotato nel cestino virtuale della nostra mente...e ( ahimè )  della nostra tasca di viaggiatori.
eire2Nella gerla del ritorno finiscono, uno ad uno, veri e propri micro-cosmi d'Irlanda, qualcosa in più di semplici oggetti. L'Old Dublin, uno dei migliori tabacchi balcanici da pipa della Peterson, che, per dirla con le parole del grande cantautore italiano Paolo Conte, ricorda “musiche turche anche lui”. Una pipa fiammata vecchia foggia, dal nome tra l'aristocratico ed il coloniale, Prince Bent.
Un bodhran, piccolo tamburo gaelico dai colori opposti, sotterranei ed eterei, nero e smeraldo luminoso.
Una spilla oro e trifoglio per l'amata metà che, qui ed ora, non può condividere quel cielo d'Irlanda che, come me, profondamente ama. La prima edizione di The celtic twilight di W.B. Yeates ,frutto di una doverosa, ma sciagurata incursione in Duke Strett, la via più joyciana di Dublino, presso la Cathach Books Ltd, paradiso ed inferno dei libri rari.
E, per finire, l'acquisto economicamente più lieve, ma simbolicamente più forte: lo spillo da giacca dell'Easter Lily, emblema della rivoluzione irlandese della  Pasqua 1916. Per trovarlo son finito nel covo stesso del Sinn Fein. Lo porterò con orgoglio, come miglior ricordo di un popolo che ha vissuto il martirio e la rinascita. Il rosso porpora del sangue sul bianco candore del giglio.
Mentre la mattinata si sta consumando, torniamo tutti a Duke Street, magnetizzati ora dall'uno ora dall'altro dei pub prediletti da Leopold Bloom. Ci sembrano un grappolo indivisibile, proprio come i fili del gomitolo che, con il suo stream of consciousness, James Joyce muove all'unisono. Di pub in pub, tra il letterario e lo storico, non c'è che l'imbarazzo della scelta, ci troviamo quasi senza scegliere dentro lo Stag's head, testa di cervo. Ci viene riservato davvero un mondo a parte. Se l'intero locale è uno spaccato vittoriano proiettato ai nostri giorni in differita, l'angolo tutto per noi ne rappresenta la quintessenza assoluta, con i suoi divani bombati e vissuti all'eccesso, le decorazioni esauste per l'antico fumo, specchiere che prendono ora più che mai la forma stessa degli avventori. Entro questa coreografia non può mancare the soup of the day, servita con l'immancabile brown bread irlandese. La gusto in modo ancor più epicureo del solito, ben sapendo che sarà l'ultima in questa terra e con questi sapori.
Ed ora l' atto finale, da tempo previsto come doveroso, quasi una vita istituzionale:il deferente omaggio a Mr. Guinness ed alla sua conosciutissima creatura. E' stupefacente vivere dal di dentro l'evoluzione esponenziale di questa fabbrica di birra. Come se la produzione, un tempo ben localizzata e pesantemente materializzata, si fosse  via via universalizzata e trasformata in qualcosa di etereo ed immateriale. Stupisce pensare  all'acqua, al  malto, al luppolo, che ancora   esistono e non sono virtuali. Eppure, raggiunta la torre della Guinness, che ci fa vedere il cielo unico sopra Dublino, con in mano la vecchia e sempre nuova pinta color terra nera d'Irlanda, ogni ragionamento di ecologia industriale scompare. E rimane solo l'attimo ed il sontuoso sorseggiare, che non ha fine.

...late in the night

Il momento è arrivato: il triste ripiegamento delle vele e degli attrezzi di viaggio.
E' l'attimo maledetto che pare riassumere la sconfitta, il cui simbolo è la valigia ribelle che non vuole più chiudersi. Ammutinamento, complotto, vera e propria congiura.
E' però l'occasione privilegiata per scegliere alcune icone da sottrarre al tarlo del tempo che consuma e ci consuma. Ne scelgo due, in apparente attrito e stridore.
La prima. Ogni gruppo ha il proprio grido di battaglia, ha ragione al riguardo il grande Walt Whitman (dai più conosciuto tramite la scorciatoia del film L'attimo fuggente). “Emetto il mio grido di battaglia -scriveva – sopra i tetti del mondo”. Anche noi abbiamo il nostro grido segreto e notturno che conserveremo nei cuori e, a volte, riprodurremo con la parsimonia dovuta alle cose preziose.
Ed ancorala seconda. In una vecchia canzone Alice si chiedeva “che cosa pensano i professori quando sognano”. Traslando il senso del testo, sarei tentato di chiedermi “che cosa pensano i miei studenti quando chiudono la loro porta d'albergo”. Poi, ripensandoci, mi convinco sempre più che è giusto fermarsi proprio al limitar dell'uscio. Lasciamoli custodire gelosamente i loro sogni, coltivare i desideri più profondi, far decollare gli amori manifesti, trovare il tempo per accendere gli amori mai rivelati. In fondo, la nostra è una compagnia che la scuola non esaurisce.
Ed è in nome di questa comune avventura senza confini e ruoli, ancorata alla  salda roccia del  fattore umano, che dedico a tutti una poesia inedita scritta ventidue anni fa, ricordando, in nome dell'amore, quegli stessi giorni e cieli d'Irlanda, antichi e sempre nuovi.
Grazie per avermeli fatti ritrovare, con gli interessi, anzi  accompagnati dal centuplo.


Le arpe di Glendalough


Di nuovo, amore,
le boscose arpe di Glendalough.
Sull'orto di fucsie regali
tintinnano petrose lacrime di giganti,
immoti pastori senza gregge,
acerbi come nodosi scettri di gigante.

Più in là il praticello degli smeraldi infranti
stilla ancora segreti inchiostri
da bacche arcobaleno.
E l'arca del ruscello votivo
balugina gli idoli scarlatti dei guerrieri,
lacustri incensi di cenobio,
il lunare bagno degli amanti.

Di nuovo, amore,
alza gli occhi sulle nuvole radenti e spaurite,
qualcuno stende dall'alto
vele di seta e broccati di cristallo:
è l'azzurro dei nostri giorni d'Irlanda.

Natale, 1990


Soundtrack:

Song for Ireland (The Dubliners)
Molly Malone (Sinead O'Connor)
Streams of Whiskey (The Pogues)
The Foggy Dew (Sinead O'Connor & The Chieftains)
The Great Song of Indifference (Bob Geldof)
Over the Hills and Far Away (Gary Moore)
Whiskey in the Jar
Wild Rover
Women of Ireland (The Chieftains)
Sunday Bloody Sunday (U2)
Il Cielo d'Irlanda (Fiorella Mannoia)


Dedicato alla Compagnia della VA , Liceo Scientifico “G. Vasari” di Figline:
Angela, Andrea, Carlo, Caterina, Chiara, Cosimo, Franco, Ginevra, Giovanni, Giulia, Ilaria, Marco, Maria Francesca, Maria Teresa, Noemi, Pietro, Simone Lip., Simone Luc., Simone Str., Tecla, Tommaso, Valentina.

Disegni originali di Franco Banchi


 
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